L'ArcoAcrobata, rivista semestrale di scienze umane ed arte, ogni anno prenderà un argomento differente e lo affronterà da diversi punti di vista.
I primi due numeri dell'anno 2002 (copertina gialla) sono stati dedicati al MARE.
Nei due numeri del 2003 (copertina rossa) l'argomento affrontato è quello della PASSIONE.
Nel 2004 (copertina verde) l'argomento è quello del BOSCO.


Un tempo nell'isola di Creta, culla della civiltà mediterranea, prima ancora che i Micenei imponessero il loro fallo violento per estendere quel potere che avrebbe dato origine alla cultura greca, esisteva un popolo di artigiani, pirati e... belle donne.
Il popolo minoico, così si chiamava, non era di stirpe guerriera e dimostrazione lo erano i bei palazzi di Cnossos e Festos, di Malia e Zakros, aperti a gradoni verso il mare, senza quel muro di cinta innalzato sempre da chi deve difendere ciò che ha usurpato. Erano i luoghi della loro vita quotidiana e della loro espressione artistica, tempestati di affreschi multicolori che rimandavano di volta in volta all'immagine di purezza e dignità del Principe dei Gigli o alla misteriosa sensualità della Parigina. Immagini che comparivano sullo sfondo di un rapporto dialettico con quel mare che sembrava contenerli, come i delfini che dilatano i confini della stanza di Pasifae. Quei palazzi somigliavano alle donne che vi abitavano: recettive e sensuali ci piace immaginarle, con le loro vesti morbide e morbidamente colorate che lasciavano scoperti completamente i seni per poi riannodarsi alla vita e cadere languidamente verso i piedi.
In quella civiltà, le cui tracce si possono ritrovare e ripercorrere nel Museo di Iraklion, una immagine si stagliava nell'aria e ne muoveva le linee: la tauromachia. L'acrobata che riesce a stare in equilibrio su di un toro scatenato che la leggenda greca ha poi trasformato in un mitico mostro rinchiuso nel buio labirinto del palazzo di Cnossos, da rabbonire ciclicamente con le frementi carni di giovinetti e giovinette. Nelle piccole sculture e negli affreschi, quell'acrobata viene rappresentato in un temerario equilibrio sull'arco di una colonna vertebrale tesa e deforme per lo scalpitio rabbioso, oppure in bilico su quelle corna pronte ad infilzarlo alla prima disattenzione.
L'Uomo che raccoglie la sfida contenuta in quella forma, ha la possibilità di trasformarsi in un acrobata, in colui che costruisce con l'arco un movimento per delinearne un significato diverso. Arrogante e giocosa quell'immagine maschile, nel creare una nuova rappresentazione di sé e dell'altro, di sé con l'altro.
E che l'arco da sempre vada a rappresentare una sfida potente e misteriosa per l'intelligenza umana, è un fatto evidente, anche se poco considerato, come accade per molte evidenze. È lo stupore provato alla vista della prima volta in pietra, della prima freccia scagliata, del primo arcobaleno; è la paura e l'incredulità provata di fronte a quella colonna vertebrale che si tendeva all'indietro in quelle donne il cui utero si metteva a viaggiare per il corpo, così si diceva, senza trovare pace.
Sfide lanciate ad architetti, medici e quant'altro. Sfide lanciate ad una pensabilità lineare che accetta passivamente la inesorabile legge della caduta dei gravi; sfide fatte per costruire una storia che, andando a scoprire e a realizzare la linea dinamica del tempo, solleva la figura dalla propria staticità per regalarle un movimento che è richiesta di rapporto a chi abbia sufficiente recettività per rimanere stupito, incredulo o intimorito.
La grande intuizione dell'isterica che, nella impossibilità di trovare una espressione creativa, riusciva a rappresentare in quel movimento del corpo, quella sfida e la propria impossibilità a credere in una risposta possibile. Sfida portata ai loro medici nel tentativo di infilzarli, ma allo stesso tempo con la inesplorata e muta speranza di essere cavalcate, di essere curate. Nascosto e senza parole quel desiderio di rapporto ritenuto vergognoso dai più.
E quando il giudizio dei più incalza, accade che i tori, le isteriche e... perfino gli arcobaleni, diventino mostruosità o simulazioni su cui si deve costruire l'ideologia di una natura umana originariamente perversa: da controllare e rabbonire questa dimensione inconscia, questo Minotauro, in un buio labirinto. Da distruggere con lo stesso arco, sottomesso a strumento di guerra.
Noi siamo qui per dire no a questa ideologia di un mostro che alberga nell'inconscio, alibi dietro cui si nasconde la follia del controllo onnipotente di tutto ciò che non è razionale, di tutto ciò che non è previsto e prevedibile, di tutto ciò che è umano.
Noi siamo qui per raccogliere il filo invisibile di una storia che ci permette di comprendere come in quella posizione assunta dall'isterica non ci sia soltanto la volgare imitazione dell'attacco di grande male epilettico, ma c'è l'immagine di quella contrazione del corpo raggiunta nell'orgasmo che nel profondo lei va continuamente ricercando, per averla un tempo lontano vissuta e poi perduta per chissà quale tradimento.
Siamo qui per parlare, e non solo con le parole, di una sanità psichica presente alla nascita di ogni essere umano; nascita che, seppure perduta successivamente in rapporti malati e violenti, può essere ritrovata all'interno di un processo, terapeutico e culturale, che racconti di una cura e di una guarigione possibile. Allora lo studio e la ricerca sulla cura della malattia mentale, anche di quella nascosta dentro i ghiacci di una terrificante normalità, può rappresentare l'occasione per una ricerca del proprio suono perduto, della propria immagine perduta, del proprio coraggio perduto. Grande occasione che i "normali" non hanno perché non si sono neppure accorti di avere sacrificato il proprio suono, la propria immagine, il proprio coraggio al Minotauro. Ad una ideologia governata dalla ragione che divora e uccide le immagini della nostra adolescenza.
Siamo qui non per raddrizzare l'arco, ma per tendere tra le due estremità quel filo invisibile che lo trasforma in uno strumento musicale: una lira o un'arpa che, se toccata o pizzicata, emette quel suono che l'isterica non ha, perché l'isterica è muta nella sua rappresentazione; perché nell'isteria, come in ogni altra malattia mentale, non c'è suono. Soltanto con questa trasformazione l'arco non sarà più soltanto una immagine che sollecita il nostro sguardo, ma diventerà una colonna vertebrale tenuta dal filo invisibile della sanità: uno strumento musicale fatto per suonare la nostra colonna sonora, la nostra voce. La voce sarà allora in grado di costruire il linguaggio allo stesso modo di come un compositore può inventare la sua sinfonia. È quando la parola vive e dà la vita; è quando i giovinetti e le giovinette liberano il loro labirinto, il loro orecchio, dal controllo onnipotente del Minotauro, per potere ascoltare eretti ed eretti finalmente potere parlare.
E allora diventa necessario quello stesso terremoto o maremoto che per ben due volte mise in ginocchio il popolo minoico rendendolo facile terra di conquista. Occorre rischiare di divenire una preda, perché solo un terremoto può distruggere quello che impedisce di reimparare ad ascoltare, a vedere, a parlare; per non giacere con un toro, come fece Pasifae, per poi generare il Minotauro. Ecco, non basta più essere onesti artigiani, seri professionisti... belle donne. Occorrono coraggio e creatività per mettere in crisi quell'Uomo dimezzato divenuto il simbolo normalizzante della nostra cultura.
L'ARCOACROBATA, rivista di scienze umane ed arte, vuole raccontare di questa ricerca, di questo passaggio che l'uomo tenta da millenni verso la realizzazione della propria Umanità. E se tutto questo riusciremo ad esprimerlo in un linguaggio nuovo, allora avremo trovato quella chiave di violino che fa la realizzazione dell'uomo acrobata, perché un acrobata che sta in equilibrio su di un arco non può che essere per prima cosa una forma musicale. Riconoscibile solo a tratti, come la felicità che ci prende quando troviamo qualcosa di prezioso che non sapevamo neppure di cercare.
In quella sapienza dell'inconscio che diventa sapienza del corpo quando l'inconscio è libero di vagare in esso per costruire una azione senza ragione. Una azione che non si spiega, come non è spiegabile che una nota possa cadere su una pausa musicale senza interrompere il suono, nella misura in cui quella pausa temporale non è vuoto, ma è respiro silenzioso che lega le parole e sostiene le azioni. È quando la caduta si trasforma in un tuffo dentro un mare sconosciuto per trovare quella nascita che non è mai esistita prima: quella che sta sulle corna di un toro scatenato.

Concetta Turchi

 
   
 
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